Al Camparino in Galleria: nel tempio dell'aperitivo italiano
Quando si scrive del Camparino in Galleria, si rischia sempre di perdere troppe righe per la storia – per quanto intesa e affascinante – che è sostanzialmente quella di Milano: dal bar fondato dal novarese Davide Campari nel 1915 come fratello minore del già affermato «Caffé Campari» è passato il mondo. Meneghino in primis, internazionale pure: intellettuali e attori, politici e imprenditori, nobilità e popolo. E continua a passare, perché la sua forza è restare di moda, in naturalezza: una certezza assoluta per i fedeli, una piacevole scoperta per i neofiti (che peraltro lo conoscono di fama) ma soprattutto un momumento in una città mai ferma, che cambia di continuo e proprio per questo ha bisogno di pochi ma fondamentali riferimenti. E il Camparino in Galleria – per 362 giorni all’anno, dalle 9.30 alle 23: anche questo ha un peso – lo è, nel nome di un orario da locale internazionale.
Il Camparino ritrovato
Campari ha avuto l’intuizione di prenderlo in mano direttamente nel 2018, recuperandolo dalla precedente gestione. Un restyling attento a difendere al meglio il fascino eterno del liberty a livello della Galleria, creando nuovi spazi al primo piano (la suggestiva Sala Spiritello) e una sala privata al livello inferiore. Dalla riapertura ufficiale, il 14 novembre 2019, il «Camparino» ha ritrovato lo spirito antico parlando a una città in piena evoluzione, frenata dal biennio pandemico. Ma ora si è ripartiti a razzo. «Di qui passano circa 1.300 persone al giorno, se ne siedono 500 e un centinaio mangia qualche piatto. Mi rende felice constatare che oggi il 60% dei clienti sono italiani, con una quota crescente di giovani mentre in precedenza si viaggiava sull’80% di stranieri: significa che la nostra “ricarica” ha avuto successo. Siamo più che mai il “bar italiano” della grande tradizione, con il personale in giacca bianca e i cocktail storici. Ma non siamo vecchi» sottolinea Tommaso Cecca, l’esperto head bartender & store manager di Camparino in Galleria.
The World’s 50 Best Bar
In effetti, colpisce la (giusta) difesa della storia e del brand («Chiunque lavora qui ha ben presente i valori del posto, mai avuto problemi a ricevere curriculum semmai di selezione» spiega Cecca) ma una visione contemporanea che non a caso ha portato il locale in Galleria a entrare, dal 2021, nella The World’s 50 Best Bars (attualmente è al 73° posto) insieme ad altri sei in Italia. Ma con una profonda differenza: sono pochissimi, nel mondo, i posti ad avere questa anzianità di servizio e a giocare molto sulla tradizione. Nella grande maggioranza dei casi, i bar più quotati fanno avanguardia pura, in ambienti hi-tech o spettacolari. «Infatti, per noi questo riconoscimento che arriva insieme ad altri ha un significato importante: vuol dire far parte dell’èlite mondiale senza aver tradito la storia ma con un approccio contemporaneo. Qui il seltz si prepara con un metodo unico da oltre un secolo ma abbiamo avuto il coraggio di perfezionare il concetto dell’aperitivo, quando bastava semplicemente seguire le vecchie regole» dice Cecca.
Drink List: dal Campari Spritz in poi
Tre drink list: i classici appunto, i signature cocktail come i richiestissimi L’Ora del Bitter e Bitter Paloma serviti solo in Sala Spiritello, gli essentials quale il raffinato Wax a base di Campari, Sangue morlacco (un liquore a base di ciliege marasche), Del Professore vermouth rosso, Cognac Bisquit VSOP e Peychaud’s bitter. Poi è evidente che la hit del gradimento sia composta dal Campari Seltz, dal Campari Spritz o shakerato, dal Negroni e dall’Americano… «Ambiamo a esportare la cultura del Camparino in altri luoghi, e vederlo protagonista non solo nella sua sede originaria a Milano» conclude Cecca. Ne siamo consapevoli, forse succederà. Ma a noi emoziona vedere, in una domenica sera ai primi di marzo, un sacco di persone (giovani) che bevono all’esterno del Bar di Passo, conversando allegramente e guardando il Duomo. That’s Milano, that’s Camparino.
Maurizio Bertera, Vanity Fair Italia